Vendere ai bambini potrebbe non sembrare una questione così problematica. O almeno, fin quando non si prova veramente a farlo.
In realtà, avere come target di mercato i bambini può essere un vero grattacapo. E questo per una serie di motivi, che vanno dal quasi banale all’estremamente complesso.
Il bambino infatti si trova in una fase dello sviluppo molto acerba. In tenera età, il cervello presenta delle particolari caratteristiche che obbligano chiunque si rivolga a un bambino ad adattarsi al suo registro comunicativo. Come sempre, il neuromarketing va a fondo di queste questioni, e oggi abbiamo una serie di conoscenze che ci permettono di capire meglio le modalità da utilizzare per interfacciarci con un pubblico così particolare.
Ovviamente, questi argomenti vanno al di là di quanto possiamo approfondire con un semplice post su un blog. Quello di cui invece voglio parlare è di un problema specifico che riguarda il marketing per bambini.
Ovvero:
A chi devo rivolgere la mia comunicazione di marketing per vendere ai bambini?
Quella che vedi in questa foto è una campagna di comunicazione che nel 2022 tappezzava le strade di New York. La vedevo ovunque: nella metro, nelle pensiline dell’autobus, nei parchi.
Il messaggio è molto chiaro. Be a Vaccine Hero è un chiaro slogan rivolto ai bambini con il fine di sensibilizzare sul tema della campagna vaccinale.
Quel che fa è urlare a gran voce: “Vaccinati anche tu, e proteggi le persone intorno a te proprio come fanno i tuoi supereroi preferiti”.
Il claim pubblicitario non ha bisogno di altre spiegazioni. O meglio, ci sarebbero mille sfumature psicologiche di cui si potrebbe parlare (immedesimazione, empatia, dopamina…), ma quelli sono argomenti che meriterebbero ben altro tempo e spazio di approfondimento.
Quello che ci interessa è che il messaggio è una precisa call to action, diretta, chiara e rivolta a un target definito. Tutto bene quindi, applausi all’agenzia pubblicitaria, lavoro finito. Oppure no?
Ovviamente, no. Come sempre accade, c’è un problema.
Quanti bambini infatti hai mai visto guardare una pubblicità e subito dopo prendere e andare a vaccinarsi?
Te lo dico io: nessuno.
Nessuno perché, anche se ciò fosse plausibile, nessun bambino può legalmente andare a farsi somministrare un vaccino senza la domanda, l’approvazione e l’accompagnamento di un genitore.
Questo non vale solo nel caso specifico della campagna vaccinale, ma per praticamente qualsiasi prodotto o servizio.
Quanti bambini dopo aver visto la pubblicità di un giocattolo decidono di uscire di casa e andare al negozio a comprarselo? Di certo vorrebbero, ma purtroppo (o per fortuna) per loro, sono sempre i genitori i responsabili degli acquisti.
E allora a che serve comunicare ai bambini se nessun bambino è in grado di prendere una decisione di consumo in autonomia?
Il problema dei genitori
A questo punto, si potrebbe pensare che la soluzione al problema sia semplicemente indirizzare la pubblicità ai genitori, piuttosto che ai bambini.
Eppure, quante pubblicità di giocattoli hai visto finora indirizzate agli adulti?
Nessuna? Non è di certo sorprendente. I bambini non sono spettatori passivi che accettano qualsiasi prodotto, servizio o esperienza venga offerto loro. Hanno i loro gusti, la loro emotività che li spinge ad affezionarsi e ad appassionarsi dei loro personaggi preferiti, ed è impensabile di fare pubblicità che non tengano conto del loro consumatore finale.
La complessità del marketing rivolto all’infanzia e alla prima giovinezza è tutta qui: ogni comunicazione, ogni strategia di marketing adottata, deve sempre tenere conto del doppio target.
I bambini in quanto consumatori finali, con i loro desideri e il loro codice comunicativo; e i genitori in quanto decisori degli acquisti ed effettivi compratori. Il marketing per l’infanzia si muove attorno a questo doppio binario, e non può tralasciare nessuno dei due.
Il segreto sta tutto nel conquistare l’interesse dei bambini, e contemporaneamente convincere gli adulti della bontà della scelta d’acquisto.
Secondo diversi studi, i bambini hanno l’incredibile potere di influenzare la scelte d’acquisto dei loro genitori fino al 98% dei casi.
E no, non si parla solo di prodotti specifici per i bambini. Lo stesso vale per qualsiasi acquisto d’interesse comune, come i viaggi di famiglia o acquisti per la casa: motivo per cui quello dei bambini è un segmento di mercato da considerare con estrema attenzione.
Ecco perché il verso senso della campagna di sensibilizzazione Vaccine Hero di cui parlavo all’inizio non è tanto convincere i bambini ad andare a vaccinarsi. Bensì spingere i bambini a fare pressione sui genitori indecisi affinché l’intera famiglia scelga la via del vaccino.
E chiaramente, anche al contrario, aiutare i genitori a vincere le resistenze dei bambini ad andare a vaccinarsi per paura della puntura. Dopotutto è quello che fanno i supereroi, no?
Vendere ai bambini è un affare più delicato di quel che pensi
Insomma, ora sappiamo bene come una buona campagna di marketing finalizzata al vendere ai bambini debba sempre parlare sia a loro che ai genitori.
Come applicare questa regola è però tutt’altro che banale, per un milione di motivi. I bambini tendono a essere reazionari e a volere ciò che i genitori non approvano, d’altra parte gli adulti tendono a essere ipersensibili quando si tratta dei loro figli.
Il neuromarketing oggi dimostra come i bambini scelgano sempre sulla base della loro emotività, mentre i genitori si sforzano di usare la propria razionalità ma di fatto diventano anche loro terribilmente emotivi quando si parla dei figli.
Come fa quindi una pubblicità a far sia brillare gli occhi di un bambino, sia a rassicurare le paure dei genitori? In quali situazioni è necessario propendere maggiormente per una delle due parti e quando è necessaria la ricerca di un maggiore equilibrio?
La questione è molto complessa e richiede conoscenza precisa del proprio mercato, della psicologia del proprio pubblico e dei meccanismi decisionali, sia consapevoli che inconsapevoli.
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