Che tu sia il titolare di una piccola o grande azienda, se vuoi aumentare le tue vendite devi sempre curare la tua customer journey. No, non è una parolaccia. Né nulla di astruso, anzi!
Spesso concetti come la customer journey sono relegati nel limbo del digital marketing, e si pensa a essi come strane e complicate tecniche per vendere online. Eppure, non c’è niente di più sbagliato.
La customer journey (il “viaggio del cliente”) non è altro che il percorso che il tuo potenziale cliente compie prima di arrivare a decidere di comprare da te.
Come potrai immaginare, in qualsiasi business e in qualunque mercato gli individui non arrivano subito al prodotto. Per fare la spesa, prima bisogna scegliere il market, poi l’orario, poi arrivarci, prendere il carrello, attraversare i corridoi del negozio, arrivare alle casse, tirare fuori il portafoglio, ecc.
Per comprare un viaggio, dovrò prima decidere la meta, eventualmente fare domanda per un visto, scegliere se affidarmi a un’agenzia o fare da solo prenotando tramite internet, scegliere la compagnia, ecc.
Fai sempre l’esercizio di metterti nei panni dei tuoi clienti e capire a fondo il loro processo decisionale. Qualunque sia il settore che ti interessa, potrai di certo individuare degli step che i tuoi potenziali clienti dovranno per forza compiere prima di arrivare al tuo prodotto.
Una volta fatto questo, il secondo passo è chiedersi: come posso intervenire nel customer journey del mio cliente per aumentare le mie vendite?
L’argomento è ovviamente molto vasto, ma in questo articolo voglio focalizzarmi su una singola, fondamentale, regola di marketing che ogni azienda dovrebbe sempre tenere a mente.
Gli shop dei musei e l’esempio del Guggenheim
Da grande appassionato di arte contemporanea quale sono, una delle mie prime tappe obbligate a New York era ovviamente il Guggenheim.
Il museo, tra i più celebri al mondo, è un meraviglioso pezzo di architettura che sorge affianco a uno degli ingressi a est di Central Park. Il suo bianco cangiante spicca sul verde dell’immenso parco, e anche all’interno ha una struttura sorprendente.
È infatti un’architettura a chiocciola che si annoda su se stessa e che attraversa, senza scale, tutti i piani del museo, fino all’ultimo.
Il giorno in cui finalmente trovai un weekend libero, andai a visitarlo. Quel giorno il museo ospitava un allestimento interamente incentrato su Kandinskij. Un percorso attraverso le varie fasi della sua pittura che si percorreva lungo la chiocciola, piano dopo piano, sezione dopo sezione.
Forse a questo punto avrai già intuito dove voglio andare a parare.
Ebbene sì: la chiocciola, la visita del museo con il viaggio attraverso l’espressione artistica di Kandinskij, erano tutto un pezzo di customer journey (di cui ovviamente facevano parte anche l’acquisto del biglietto, il recarsi al museo, ecc).
Se ti è capitato nella tua vita di visitare un po’ di musei, avrai probabilmente notato che al termine della visita, vicino all’ingresso, trovi quasi sempre lo shop della mostra. In genere si vende di tutto: libri, poster, gadget sulle opere d’arte esposte, matite e cancelleria a tema, borse, magliette, ecc.
Il Guggenheim ovviamente non poteva fare eccezione.
Terminata la chiocciola e arrivato all’ultimo piano, mi ritrovai infatti nel negozio del museo. Ecco che quindi, subito dopo aver visto l’ultima (spettacolare) opera di Kandinskij, avevo ora davanti una miriade di gadget, souvenir e libri a tema.
E ce li avevo davanti proprio nel momento in cui, fresco fresco delle opere di Kandinskij, la mia tentazione di acquistare qualcosa a tema era massima.
Fin qui tutto nella norma, e come in ogni altro museo che si rispetti. C’era però un aspetto lato marketing, che mi lasciava perplesso…
…un errore.
Un piccolo errore forse, ma piuttosto grossolano per un’istituzione come il Guggenheim.
C’era infatti un dettaglio fondamentale, che apparentemente non avevano considerato. Lo shop è alla fine del percorso, al termine della salita a chiocciola. Ma chi lo dice che ogni visitatore percorra la chiocciola in quella direzione, dal basso verso l’alto?
Chi non ha voglia di camminare, nei musei multipiano è infatti solito prendere l’ascensore fino all’ultimo piano e da lì ridiscendere a piedi, percorrendo la mostra nel senso inverso.
E in questo caso, il museo all’ultimo piano si troverebbe all’inizio della visita, e non alla fine.
E questo è un problema.
Ma quindi perché lo shop è sempre alla fine? E qual è la regola della customer journey da rispettare per aumentare le vendite?
Le motivazioni per cui gli shop dei musei sono sempre al termine della visita sono diverse, ma si possono riassumere in una principale.
Cioè che solo al termine della visita, dopo che il potenziale cliente ha compiuto tutto il suo viaggio in mezzo agli stimoli della mostra, sarà davvero spinto ad acquistare.
Il perché è intuitivo, ma non banale. Molti visitatori appassionati d’arte, attraverso la mostra scoprono nuovi autori, nuove opere e nuove conoscenze da cui rimangono affascinati. Per cui è evidente che solo dopo aver terminato la visita, possono essere interessati ad acquistare qualcosa di “brandizzato” con le nuove scoperte del giorno.
Ma non è tutto qui: non è questa la motivazione principale.
Io ad esempio adoro Kandinskij da molto, molto tempo prima di averlo visto al Guggenheim. Il che mi rende sempre un soggetto in target per “cose” a tema Kandinskij. Eppure l’impatto di prodotti a tema è molto, molto, diverso quando arriva al termine della mostra.
Perché la visita attiva nel mio cervello (e in quello di qualunque altro visitatore) una serie di stimoli emotivi e sensoriali, i quali a loro volta attivano la produzione di alcune sostanze chimiche.
E queste sostanze, al centro degli studi e delle tecniche di neuromarketing, sono un potentissimo attivatore dei meccanismi decisionali che ci portano alla scelta di acquistare qualcosa.
Senza addentrarmi in un tema complesso che richiede un approfondimento scientifico strutturato e approfondito, siamo quindi arrivati al principio che ogni azienda deve sempre tenere a mente quando costruisce la customer journey dei suoi clienti.
La vendita non deve cioè MAI arrivare troppo presto.
Una customer journey studiata nei minimi dettagli guida l’utente in modo naturale e spontaneo verso l’ovvia scelta di acquistare.
E lo fa non con l’approccio invadente e molesto tipico degli annunci pubblicitari che nessuno sopporta. Bensì offrendo valore e un’esperienza piacevole al cliente, accompagnandolo passo passo verso la libera scelta di acquistare (o non acquistare).
La vendita dev’essere la naturale conseguenza di ciò che si è costruito prima.
E quindi, l’errore di customer journey del Guggenheim?
Terminata la visita e superato lo shop all’ultimo piano, presi l’ascensore per tornare al piano terra. Mi avviai verso l’ingresso principale, e scoprii che non si poteva uscire da lì. C’era un percorso obbligato che portava a un’uscita laterale, che non si vedeva dalla sala principale.
E guardacaso, lungo quel percorso obbligato, c’era un altro shop del museo da cui si doveva passare per forza per arrivare all’uscita.
In altre parole, qualunque fosse la direzione di visita della mostra scelta dal visitatore, c’era in ogni caso uno shop ad aspettarlo alla fine, prima dell’uscita.
Ben fatto, Guggenheim. Scusa per aver dubitato di te.
In conclusione, qualsiasi azienda, grande o piccola che sia, deve sempre sforzarsi di studiare il percorso che conduce i suoi clienti a lei. Non bisogna affrettare il momento della vendita, ma piuttosto intervenire sul percorso in modo che i clienti siano portati a comprare nel modo più naturale e spontaneo possibile.
Questo principio ha tantissime applicazioni, sia nel marketing online che offline.
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